GRIDA SILENTI: AL DI LA DEL SIMBOLO
Franco Campegiani
Una lettura molto superficiale potrebbe indurre a considerare quella di Vito Lolli un’arte intellettualistica con venature profetico-ascetiche. Ma io trovo depistante questa chiave di lettura. Indubbiamente la sua via solitaria lo apparenta in qualche modo alle poetiche dell’individualismo decadente e crepuscolare, con toni fortemente simbolisti e metafisici, orfici e surreali, consentendone anche un illusorio accostamento al manierismo della figurazione postinformale che tanto sta facendo parlare di sé.
A ben guardare, però, questo è soltanto l’ambito linguistico dove si instaura una potente tensione cosmica, un afflato universale inusitato nel panorama iconografico dei nostri tempi. Vito Lolli, in realtà, tenta proprio di abbattere le barriere dell’emarginazione e del silenzio, quindi della segretezza misterica e del simbolismo gnostico da cui per molti versi risulta allettato – per andare a cogliere con un atto mentale puro il codice arcano della vita il fondamento stesso dell’universalità.
Non c’è dubbio che la sua sia una pittura colta, aristocratica, ma è altrettanto vero che sa liberarsi con scatti poderosi della sua stessa eccentricità, ponendosi al di là del non senso fantastico e dell’estetismo capriccioso del rifugio memoriale e del narcisismo gratuito, alla ricerca della chiave dorata che apre le porte della verità. Questa pittura vive di spazi mentali e non ha nulla a che fare con la gestualità; tuttavia sarebbe riduttivo dedurne che tende ad esaltare la distinzione dell’io dalle cose. Ciò da cui è animata è, al contrario, il tentativo di captarne l’unisono, il battito comune e profondo.
La sua istanza è di superare ogni distinzione artificialmente costruita fra soggetto e oggetto, fra pensante e pensato, per tentare di nominare – almeno intenzionalmente – il pensiero nella sua purezza. Ecco che gli atti mentali, qui, non vogliono più essere delle rappresentazioni o delle allusioni simboliche, bensì momenti della vita dell’essere, quindi strutture archetipali della realtà, nomi reali e non mascherati delle cose.
La visionarietà di Lolli è un incendio glaciale, un grido alto e silente, non ha l’ebbrezza dell’estasi, ne l’illusorietà dell’allucinazione: non è arbitraria o gratuita e raramente indulge al capriccio onirico. Non vuole essere un atto evasivo della mente ma una finestra sul mistero dell’Essere, un ponte radio dall’invisibile. E sono vortici abissali universi radiosi luci acrobatiche; sono magnetismi angelici e trasmutazioni cosmiche. E ancora: lune, pianeti, asteroidi galassie,- cicli su cicli, fughe di energia, raggi penetranti, colate materiche e figure evanescenti, poi specchi scale, altari, cornici, finestre, botole, oblò, architetture geometriche, simmetrie insospettabili, incroci di prospettive alla rincorsa di quella sapienza universale che il vivente porta dentro di sé.
Siamo di fronte ad una grandiosa ricostruzione metafisica all’alba del duemila: una ricostruzione dai tratti totalmente diversi da quelli cui ci hanno abituato le metafisiche tradizionali che hanno idealizzato e travisato l’Essere fino ad allontanarlo dalla realtà. In questa visione metafisica l’Essere è intrinseco all’Esistere, in senso non hegeliano ne bergsoniano: qui l’Essere è percepibile solo mentalmente, anestetizzando e paralizzando il piano sensibile della realtà.
E non è che, per questo, Lolli non creda all’evoluzione e al divenire: tutt’altro. Lo sviluppo, per lui, consiste in una lenta e faticosa ricostruzione dell’ordine dalle macerie del caos in cui l’ordine stesso è precipitato. E’ l’Essere che riconduce il Nulla presso di Sé; è uno scavo mentale, un viaggio a ritroso nella materia e nel tempo che riconduce il vivente nell’originaria e primigenia verità. La realtà sensibile è ricca di valore, di senso, non è insensata come nei presupposti di tanto relativismo contemporaneo, ma il suo senso è implicito – e non esplicito come hanno creduto gli aristotelici o gli hegeliani. E non è che si debba separare platonicamente l’implicito dall’esplicito, perché la dualità è presente nell’unità dell’Essere stesso, che non si vuole dividere dalle cose ma tenta vie ardimentose, paradossali, per affermare la propria verità.