I FUOCHI INFANTILI
Eravamo del cielo
cangianti come nuvole
figli dell’aria e della luce.
Eravamo dell’ aria
del fragore dell’acqua corrente
e del silenzio dei monti,
dello sfarzo del bosco
e del canto dei fiori.
Eravamo del fulmine,
della potenza dell’istante
che arde e trasmuta.
Eravamo del sogno
immagini nelle correnti del tempo
aperte nel cuore della memoria.
Nel cielo e nella terra
eravamo senza essere;
nel silenzio della mente
eravamo cielo ed eravamo terra
ed eravamo l’orizzonte.
Ora
svegli in un sonno profondo
vediamo l’orizzonte tagliare il mondo
e mentre il cielo ci opprime
e la terra è terrore,
gridiamo il nostro essere morte
al vento che ride.
Votati alla morte
nome senza vita
giochiamo con gli occhi a terra
a fuochi infantili
e quando il gioco brucia i nostri piedi
alziamo gli occhi al cielo
per scagliare l’ultima torcia.
Un dio non vede e non conosce
il gelo di una luce morente:
la torcia volteggia
ma il cielo non l’accoglie
e sulla mano protesa dalla terra
ricade grave.
E non siamo più del cielo:
in una casa di parole mute
canto la malinconia alla finestra
mentre la nostalgia del silenzio
è ruggine d’agiata follia
che divora il tempo della chiave.
Si spengono i fuochi antichi
e spenta è l’eco delle grida del cuore
nella mente povera e stanca;
muto, il viandante si china al dolore dell’attesa.
Il vento dell’oblio lascia solo ceneri
vuoti gusci rotti per giochi infantili.
E spenti restano i fuochi antichi;
chino rimane il viandante
immobile
a contare le stelle.